EDOCULTURA: IL PINOCCHIO DI CARMELO BENE
Pinocchio è un’opera teatrale dell’attore,regista,drammaturgo, filosofo, scrittore e poeta Carmelo Bene andata in scena per la prima volta nel 1961 al Teatro Laboratorio di Roma. Ha avuto altre repliche teatrali nel 1966, 1981 e 1998, una versione adattata per la televisione nel 1999, tre edizioni radiofoniche e una discografica.
Trama: Nel testo originale di Carlo Collodi, lo spettacolo è fortemente incentrato sul tema dell’eterno giovane, il fanciullo impersonato da Pinocchio/Carmelo Bene.
Costui è un burattino pestifero e vivace ricavato da un pezzo di legno intagliato da suo padre Mastro Geppetto, sotto il consiglio dell’amico Mastro Ciliegia.
Pinocchio prende vita, ma è incurante rispetto alla vita quotidiana fatta di leggi e doveri, così inizia a comportarsi come un delinquente. Sopraggiunge sulla scena il Grillo Parlante che gli intima di comportarsi bene e di non far soffrire il padre, nel frattempo fuori per lavoro. Ma Pinocchio, sentendo soltanto dalla bocca del grillo le parole “lavoro” oppure “l’essere somaro” lo uccide con un martello. Mastro Geppetto rincasa e trova Pinocchio con le gambe bruciate. Gli chiede cosa sia accaduto, così Pinocchio gli racconta tutte le sue sventure, partendo dal Grillo Parlante, alle secchiata d’acqua ricevuta da un beccamorto al quale aveva chiesto un po’ di pane.
Mastro Geppetto, con la promessa che Pinocchio sarebbe andato a scuola e che si sarebbe comportato bene facendosi una buona posizione all’interno della società, consegna a Pinocchio tre pere mature e si vende la casacca per comprarli un abbecedario e un vestito nuovo per la scuola. Pinocchio il giorno dopo esce di casa, ma si perde in chiacchiere e scherzi nel teatro di Mangiafoco, che lo cattura e medita di cuocerlo al fuoco per far arrostire il suo montone. Pinocchio piange e rinnega la sua nascita, facendo commuovere il cuoricino di Mangiafoco che decide di regalargli cinque monete. Pinocchio tutto contento si avvia verso casa, ma viene fermato da due loschi figuri: il Gatto e la Volpe, che lo avvicinano e se lo portano con loro, promettendogli di far fruttare i suoi soldi al Campo dei Miracoli. Pinocchio si fa ingannare e va via con loro, finendo impiccato di notte da due assassini: il Gatto e la Volpe in persona, mascherati di nero.
Pinocchio è sul punto di morire, ma essendo di legno e non morendo subito, viene salvato appena in tempo dalla Fata dai Capelli Turchini, che lo cura e lo accudisce, facendosi promettere dal burattino di comportarsi bene una volta per tutte e di andare a scuola. Pinocchio promette tutto, ma il giorno dopo si fa di nuovo ingannare dal Gatto e la Volpe, che lo invitano insistentemente ad andare al Campo dei Miracoli a piantare le monete d’oro. Pinocchio ovviamente si fa ingannare ancora e così viene derubato senza accorgersene.
Dopo essere stato denunciato dal giudice al quale Pinocchio si era recato per sporgere denuncia contro il Gatto e la Volpe, la Fata Turchina decide di perdonare una seconda volta Pinocchio per i suoi errori e di farlo andare regolarmente a scuola per guadagnarsi un lavoro e ripagare il facoltoso Mastro Geppetto di tutti i suoi sacrifici. Pinocchio però questa volta si fa ingannare da un ragazzino: Lucignolo, che lo porta nel meraviglioso Paese dei Balocchi, dove non si studia mai e non si smette mai di giocare. Pinocchio e Lucignolo si divertono come matti, ma poi entrambi si tramutano in asini e vengono venduti dal crudele gestore dell’enorme baracca di giostre.
La Fata Turchina, riconoscendo in Pinocchio della bontà inestinguibile per la sua autocommiserazione, decide di salvarlo un’ultima volta, ma questi, ancora asino, si rompe una gamba e finisce gettato in bocca ad una balena, che aveva mangiato pochi giorni prima anche Mastro Geppetto, messosi in mare per cercare suo figlio. Padre e figlio si ricongiungono nella pancia dell’animale marino e non appena riescono a scappare, Pinocchio inizia a lavorare e riesce a guadagnare quanto basta per sostenere il padre ormai vecchio oltre che sé stesso, andando a studiare a scuola. Sul suo cammino incontra nuovamente i mendicanti Gatto e Volpe, che lo invitano ad aiutarli. Pinocchio ricordando loro vari proverbi, li abbandona al loro destino entrando a scuola.
Il rifiuto di crescere:
Carmelo Bene, nelle sue Proposte per il Teatro, definisce il Pinocchio come uno spettacolo dell’infortunio sintattico nel teatrino perverso della Provvidenza (“la bella bambina dai capelli turchini”) e dell’indisciplina cieca d’un pezzo di legno crocifisso da pro-verbi tricolori della carne: mortalità natale e sciagurata crescita umana. Pinocchio rappresenta l’incapacità, il rifiuto o impossibilità di crescere, quasi preveggendo che, dopo l’infanzia, dove tutto appare così indefinito e onnipotente, inizia l’imputridimento. Carmelo Bene ama descrivere il suo Pinocchio come un'”inumazione prematura di una salma infantile che scalcia nella propria bara”, ammettendo che…
“L’essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte. L’essermi alla fine liberato anche di me”.
“Liberarsi di sé stesso” significa dare scacco all’Io tirannico della rappresentazione, liberazione questa che Bene otterrà in tutti i suoi spettacoli teatrali, o meglio, nel suo “teatro senza spettacolo”, aggiungendo inoltre che
« il rifiuto alla crescita è conditio sine qua non all’educazione del proprio “femminile”».
Testo ed esecuzione:
Il testo del Pinocchio viene estrapolato da quello di Collodi pressoché identico, senza aggiunte o sottrazioni di sorta. Ciò che muta o altera l’uguale, prendendo come punto di riferimento la terza edizione del Pinocchio, è la scarna scenografia (ovviamente soggiacente alla phoné), limitata nell’illuminazione, come in quasi tutti gli spettacoli di Bene, che consente un fondo pressoché buio da dove emergono i personaggi larvati, o meglio, le maschere, come per es. Pinocchio e Geppetto che, nella loro posa statica, leggono la loro storia, dettati dal testo collodiano (o se vogliamo raccontati da ciò che leggono), senza possibilità di agire. I pochi movimenti che si possono notare sono spezzati o disarticolati, con scene che ricordano quadri surrealistici. Per quanto concerne la parte fonica, ovvero la phoné, Bene la descrive come:
“strappata al logos, quindi antifrastica… liberata dalla frase e quindi… liberata anche dai concetti… Non c’è nel Pinocchio lo spettegolio del teatro di prosa”.
Dalla terza edizione in poi, il Pinocchio (così come tanti altri spettacoli di Bene) farà ampio uso del playback e i personaggi, tranne quello di Pinocchio, saranno interpretati dalla stessa attrice che di volta in volta muterà maschera e anche voce, rigorosamente in playback.
Testimonianze:
Giuliana Rossi asserisce che fu lei a mettere in testa a Carmelo Bene l’idea del primo spettacolo sul Pinocchio collodiano, con cui venne inaugurato nel 1961 il Teatro Laboratorio. Giuliana, d’accordo con Edoardo Bruno, giudica questo Pinocchio il più bello spettacolo mai messo in scena. Bene confermò:
«Grandissima quella prima edizione del Pinocchio. E memorabili le prove.»
Lydia Mancinelli (attrice che ha spesso lavorato con Bene nel corso della sua carriera) ricorda che Carmelo Bene in un’edizione del Pinocchio: « … veniva catapultato in platea, da un’altalena gigantesca, dalla graticcia andava a finire a metà platea del Quirino, con i fari che si accendevano (bianco, rosso e verde) [….]. Insomma, era un teatro che non aveva niente a che vedere con […] le altre persone che hanno fatto teatro d’avanguardia con quello che aveva fatto lui. Non ho visto mai niente di simile ».
Edoardo Mastrocola