EDOCULTURA: PARADISE NOW DEL LIVING THEATRE (1968-1970)
Paradise Now è uno spettacolo teatrale che venne messo in scena dalla compagnia teatrale sperimentale contemporanea Living Theatre tra il 1968 e il 1970. Esempio di via di mezzo tra teatro e happening, lo spettacolo ebbe notevoli problemi di censura, con ripetuti divieti di rappresentazione e arresti per oltraggio al pudore e motivi di ordine pubblico. Nel 1970 il regista Sheldon Rochlin ne ha tratto una versione cinematografica.
Genesi: Il Living Theatre cominciò a lavorare a Paradise Now verso la fine del 1967 a Cefalù, in Sicilia. L’intento del Living era la creazione di uno spettacolo che «fosse un’esplosione di felicità e di ottimismo rivoluzionario». Dopo una serie di spettacoli pessimisti sul mondo, Beck e Malina volevano far capire che il cambiamento era invece possibile. Dopo circa tre mesi di prove, nei primi mesi del 1968 la compagnia si trasferì in Francia, poiché la prima dello spettacolo era prevista al Festival di Avignone nel luglio 1968.
In Francia il Living venne in contatto con i moti di rivolta del maggio francese, restandone profondamente colpito. La compagnia in quell’occasione decise di non fare spettacoli o dimostrazioni pubbliche, poiché a loro parere la realtà dei fatti che stavano accadendo superava qualsiasi possibile rappresentazione teatrale. Tuttavia tali avvenimenti ebbero una notevole influenza su Paradise Now, che assunse da allora una valenza meno mistica e più politica, coinvolgendo centinaia di persone alle prove («studenti, artisti, hippies, vagabondi, fumatori di canapa indiana, anarchici e protestatari di tutte le razze»). Nel maggio francese il Living vedeva l’inizio di uno spirito rivoluzionario che era lo stesso che essi volevano infondere nello spettacolo.
Paradise Now venne anche influenzato dal processo di “deteatralizzazione” che stava attraversando il Living, il quale ricercava una sempre maggiore interazione e confusione tra attori e pubblico, tra spontaneità e recitazione, abbandonando quindi sempre di più la classica forma teatrale, per avvicinarsi all’happening. Secondo lo stesso Beck, tale spettacolo arrivava a configurare “una sorta di funerale del teatro”.
Messa in scena: Paradise Now era stato pensato per rivoluzionare la società tramite la liberazione psicologica degli spettatori; la messa in scena poteva durare anche quattro ore o più. Ispirato al filosofo Martin Buber e alla visione chassidica della vita come scala che congiunge la terra al cielo, lo spettacolo si poneva come un viaggio ascensionale attraverso otto gradini, che rappresentavano otto tipi di rivoluzione (ad esempio rivoluzione delle culture, rivoluzione delle forze aggregate, rivoluzione sessuale); l’ultimo di tali gradini costituiva la Rivoluzione permanente. Agli spettatori veniva data una mappa in forma di diagramma per seguire tale ascesa.
Poco dopo l’inizio dello spettacolo gli attori si denudavano (nudo balneare, non integrale) e manifestavano al pubblico varie forme di repressione sociale («Non ho il diritto di viaggiare senza passaporto», «Non so come fermare le guerre», «Non si può vivere senza soldi») allo scopo di coinvolgerlo e rompere le barriere attore-spettatore.
Cominciavano quindi gli otto gradini, ognuno dei quali era composto da:
un “rito” («rituali-cerimonie fisico-spirituali che culminano in un flashout» e che restavano tra gli attori);
una “visione” (immagini, sogni e simboli originati dagli attori per coinvolgere gli spettatori, come le scritte ‘PARADISE’ e ‘ANARCHISME’ composte dagli attori coi loro corpi);
un'”azione”, cui veniva invitato a partecipare anche il pubblico, se lo desiderava, ad esempio tuffandosi dall’alto tra le braccia dei membri della compagnia (come atto di fiducia verso il prossimo).
Ad ogni gradino veniva insomma compiuta un’azione che presupponeva un sempre maggiore coinvolgimento del pubblico, finché ogni barriera veniva abbattuta e le sedie degli spettatori venivano portate sul palco a simboleggiare l’unità assoluta tra attori e spettatori. Poteva capitare qualsiasi cosa e lo spettacolo era molto aperto all’improvvisazione. Poteva succedere che qualcuno del pubblico reagisse con ostilità o addirittura violenza, o che al contrario si sentisse trasportato al punto da essere persino disposto a fare l’amore in teatro nel corso della messa in scena. Alla fine Julian Beck gridava: «Il teatro è nella strada!» e allora tutti quanti, attori e pubblico, abbandonavano il teatro per fare una gioiosa processione di persone seminude per le strade della città.
Edoardo Mastrocola